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Risarcimento da 2,5 a 12 mensilità per i precari assunti dalla P.A. in violazione dei termini massimi di legge.


La Cassazione a sezioni unite con la sentenza 5072 del 15 marzo scorso ha affrontato l’intricata questione delle tutele per il pubblico impiego contro l’abuso dei contratti a termine. Recependo i principi già espressi da tempo dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU), la Cassazione ha sancito che il dipendente pubblico, il quale abbia avuto uno o più contratti a tempo determinato per un totale di oltre 36 mesi ha diritto al risarcimento che può oscillare da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione a seconda dell’anzianità di servizio.

Il riconoscimento economico, avendo funzione risarcitoria per il lavoratore e sanzionatoria per la Pubblica Amministrazione, non deve essere oggetto di alcuna prova che non sia la sola durata del rapporto a termine in violazione dei principi europei – Dir. 1999/70CE - recepiti nel D.lgs 368/2001, ora sostituito dal D.lgs 81/2015 (artt. 19/29).

La Cassazione ha comunque escluso – contrariamente a quanto accade nel settore privato – l'obbligo per la P.A. di trasformare il rapporto precario, tenuto in violazione dei termini massimi di durata, in rapporto a tempo indeterminato. L'accesso nei ruoli della P.A. rimane vincolato alla procedura del concorso pubblico come sancito dall'art. 97 della Costituzione. In proposito va osservato che, sebbene la norma costituzionale, dopo aver affermato il principio del concorso pubblico, lasci aperta una possibilità di deroga specificando “salvo i casi stabiliti dalla legge”, l'art. 36 c. 5 del D.lgs. 165/2001 richiude subito la porta sancendo che "la violazione di disposizioni ... non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato ..." . Precetto ribadito dai successivi commi 5ter e 5quater.

L'erogazione di tali somme, essendo corrisposta a titolo sanzionatorio-risarcitorio, dovrebbe avvenire in totale esenzione contributiva e fiscale.

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